Si può revocare la cittadinanza a chi commette reati gravi?

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Passaporto portoghese cittadinanza

Recentemente il governo portoghese ha annunciato l’intenzione di modificare la legge sulla cittadinanza, introducendo la possibilità di revocarla in caso di reati gravi. La proposta è stata resa pubblica dal primo ministro Luís Montenegro durante il suo discorso programmatico alla Assembleia da República, segnando una svolta nella politica migratoria del paese.

Secondo quanto anticipato, la riforma della legge sulla cittadinanza si articolerà su tre assi principali. Il primo riguarda l’allungamento del tempo minimo di residenza legale richiesto prima di poter presentare la domanda di naturalizzazione. Il secondo introduce l’obbligo di dimostrare un “legame effettivo” con la comunità portoghese, attraverso criteri come l’integrazione sociale, la conoscenza della lingua o la partecipazione alla vita civile. Il terzo, e più discusso, prevede l’inserimento di una clausola che consenta la perdita della cittadinanza acquisita da parte di chi si rende responsabile di “comportamenti gravi e molto gravi”, in particolare reati che ledono la sicurezza pubblica o l’ordine costituzionale.

La proposta si inserisce in un contesto politico in cui il tema dell’immigrazione e della cittadinanza è sempre più centrale. Il partito di destra radicale Chega ha più volte proposto modifiche simili, come la revoca automatica della cittadinanza per chi viene condannato per terrorismo o per reati con pena superiore ai tre anni. Ora, la maggioranza di centro-destra sembra pronta a portare avanti una versione più moderata ma sostanzialmente ispirata alla stessa logica.

Accanto a questa proposta, il governo ha annunciato anche un rafforzamento delle forze dell’ordine, con l’assunzione di 1.500 nuovi agenti di polizia, un miglioramento del controllo alle frontiere e una revisione dell’operato del SEF, il Serviço de Estrangeiros e Fronteiras. L’obiettivo dichiarato è quello di garantire maggiore sicurezza e di rendere più selettivo l’accesso alla cittadinanza, premiando chi dimostra reale volontà di integrarsi e punendo con la revoca chi tradisce la fiducia dello Stato.

Il dibattito è appena iniziato e promette di essere acceso, soprattutto per quanto riguarda i limiti costituzionali della misura e il rischio di creare una distinzione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B.

La situazione in Italia

Anche in Italia, il tema della revoca della cittadinanza è oggetto di dibattito da diversi anni, soprattutto dopo l’introduzione del Decreto Sicurezza del 2018.

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L’attuale normativa, contenuta nell’articolo 10-bis della Legge 91/1992, prevede la revoca automatica della cittadinanza italiana per i soggetti naturalizzati condannati in via definitiva per reati di terrorismo, eversione o crimini gravi contro la sicurezza dello Stato. Questa norma è stata fortemente voluta dall’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, nel contesto di una più ampia stretta sull’immigrazione e sulla sicurezza nazionale.

Negli ultimi anni, però, alcuni parlamentari di centro-destra, tra cui Riccardo De Corato e Igor Iezzi, hanno proposto un ampliamento della misura, estendendo la revoca della cittadinanza anche a chi viene condannato per omicidio, violenza sessuale, traffico di droga, o pedofilia. In alcune mozioni, è stata avanzata persino l’ipotesi di applicare la revoca anche ai cittadini naturalizzati tramite matrimonio, aumentando così la portata e la severità della norma.

Tuttavia, queste proposte hanno sollevato forti critiche sul piano costituzionale. Molti giuristi e costituzionalisti hanno sottolineato come simili misure possano violare il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, creando una disparità tra i cittadini italiani per nascita (ius sanguinis) e quelli naturalizzati. Il rischio è quello di trasformare la cittadinanza da status permanente in privilegio revocabile, solo per una parte della popolazione.

Dal punto di vista politico e mediatico, la questione ha suscitato un forte dibattito. Il centro-destra spinge per un approccio più rigido, invocando la necessità di tutelare la sicurezza nazionale. Il centro-sinistra, invece, teme una deriva discriminatoria, che potrebbe colpire ingiustamente persone pienamente integrate nella società italiana. Sui social media e nei talk show, la questione viene spesso strumentalizzata, con toni polarizzati che riflettono la crescente tensione sul tema dell’identità nazionale e dei diritti civili.

Altri paesi che prevedono la revoca della cittadinanza

La possibilità di revocare la cittadinanza in seguito a reati gravi non è una prerogativa esclusiva del Portogallo o dell’Italia. Molti paesi europei hanno introdotto negli anni clausole che consentono, in determinate circostanze, di togliere la cittadinanza acquisita, soprattutto per motivi legati alla sicurezza nazionale.

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In Svizzera, la revoca della cittadinanza è prevista in caso di “grave pregiudizio agli interessi o alla reputazione del Paese”, come stabilito dalla Legge sulla cittadinanza. Si tratta di una misura rara, ma formalmente applicabile anche in assenza di una condanna penale. A livello cantonale, alcuni partiti hanno spinto per forme più severe: ad esempio, si è discusso di un referendum per revocare la cittadinanza a chi è condannato per omicidio, violenza sessuale o traffico di droga, anche quando la pena non è definitiva.

In Francia, la revoca della cittadinanza francese è già possibile per chi si rende colpevole di terrorismo o di crimini contro la Repubblica. Secondo la normativa vigente, è sufficiente una condanna con pena superiore a sei mesi di carcere. In casi particolarmente gravi, il ministro dell’interno può decidere discrezionalmente di avviare la procedura di revoca, purché il soggetto abbia anche una seconda cittadinanza, per evitare casi di apatridia.

Anche nel Regno Unito, in Germania e nei paesi nordici esistono clausole di revoca discrezionale della cittadinanza, soprattutto per reati legati al terrorismo, alla spionaggio o ad atti considerati lesivi dell’integrità dello Stato. Tuttavia, questi paesi pongono particolare attenzione a non violare i trattati internazionali sull’apatridia, garantendo che la revoca non lasci il cittadino senza nazionalità.

In conclusione, la tendenza a rendere più selettivo l’accesso alla cittadinanza e a revocarla in casi estremi sta prendendo piede in molti paesi europei. Resta però forte il dibattito su quali reati giustifichino una misura così radicale, e su quali garanzie legali debbano accompagnarla per evitare abusi o discriminazioni.

Aspetti giuridici e diritti umani

L’eventuale introduzione della revoca della cittadinanza per reati gravi solleva una serie di questioni fondamentali legate ai diritti umani, al principio di uguaglianza e al rispetto delle norme internazionali.

Uno dei rischi principali è quello dell’apatridia: privare una persona della cittadinanza può lasciarla senza alcuna nazionalità, condizione che limita fortemente i suoi diritti civili, politici e sociali. Per questo motivo, gli standard europei e internazionali — inclusa la Convenzione ONU del 1961 sull’apatridia — vietano la revoca della cittadinanza se ciò comporta l’assenza di altra nazionalità effettiva.

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C’è poi il problema del principio di uguaglianza: la revoca colpirebbe solo chi ha acquisito la cittadinanza e non i cittadini per nascita, creando così un sistema giuridico a due velocità. Questo solleva interrogativi sulla discriminazione implicita e sull’equità di un trattamento differenziato tra naturalizzati e nativi, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione italiana, che garantisce uguaglianza davanti alla legge.

Infine, qualsiasi misura in questo ambito deve rispettare gli standard internazionali: è necessario garantire il giusto processo, la proporzionalità della pena e il diritto alla difesa. Le direttive europee e le convenzioni delle Nazioni Unite ribadiscono l’obbligo di non adottare provvedimenti arbitrari, bensì basati su sentenze definitive, con possibilità di appello e tutela giurisdizionale.


Impatto e prospettive

L’introduzione di misure così drastiche pone la questione di come bilanciare la sicurezza dello Stato con i principi fondamentali della coesione sociale e della giustizia. Ci si chiede, infatti, se la revoca della cittadinanza rappresenti un reale deterrente per i reati gravi, o se non rischi invece di alimentare sentimenti di emarginazione, specialmente tra le comunità migranti.

Un altro punto critico è la mancanza di dati: per valutare l’efficacia o l’abuso di queste misure servirebbero statistiche ufficiali sul numero di revoche effettivamente applicate, le motivazioni delle sentenze e gli eventuali ricorsi presentati. Questi dati sono spesso assenti o dispersi nelle banche dati giudiziarie, rendendo difficile un’analisi comparativa seria.

Infine, non si escludono controversie legali: in Italia, eventuali modifiche legislative potrebbero essere oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale, qualora si ritenga che violino i diritti fondamentali. A livello europeo, si potrebbero aprire contenziosi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), specialmente se le revoche venissero considerate discriminatorie o sproporzionate.

In sintesi, la revoca della cittadinanza per reati gravi tocca nodi delicati: giustizia penale, diritti civili, integrazione sociale e identità nazionale. Un eventuale cambiamento legislativo dovrebbe muoversi con cautela, trasparenza e nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali e internazionali.

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