Sto scrivendo in una rua nel mezzo di uno spazio connotato in maniera nazionale dai confini ancestrali, immutati dalla prima metà del 1200.

Un confine antico e un’egocentrica visione del mondo

Lo spazio cittadino irradiatore di questa cultura di nazione, dal fondamento leggendario, secondo la definizione psicoanalitica di Eduardo Lourenço, si autodefinisce, non senza una certa retorica, metrópolis. E in effetti “metropoli”, in tutte le antologie istituzionali, è definita come “città preminente in ambito geografico o culturale”.

Ancora prima dell’impero, Lisbona tasta, indaga e definisce il mondo a sé circostante com un egocentrismo tipico. E’ il caso dell’Alentejo, além Tejo, al di là del Tejo, come se la terra da cui il Portogallo prende il vino e il grano, esistesse solo se guardata da uno dei miradouros in cima alla città fortificata.

Lisbona e le sue mura invisibili

Le vere mura di Lisbona non sono quelle del castello.

Da una parte c’è l’acqua. E, sull’acqua, sterminata, e che la circonda per tre lati, la Metropoli faceva partire le navi che avrebbero ingigantito fino al collasso la sua proiezione imperiale.

Si partiva dalla torre di Belém, come se la missione imperiale fosse il viaggio di Cristo – che há origine a Betlemme, appunto – per colonizzare e schiavizzare, proprio come Cristo non avrebbe mai fatto.

Le altre mura, quelle dell’invasore, circondano il quartiere di Alfama – “il bagno” in arabo. Ad Alfama c’era  era un enclave di giudei che, per paradosso onomastico, chiamavano il bairro con la lingua dei carnefici, che intanto si erano già spostati nella mouraria dopo la Reconquista cristiana. 

Abbiamo quindi una terra “aldilà”, la cometa di Betlemme, poi gli ebrei prigionieri degli infedeli, e infine i navigatori in nave verso l’infinito, convintissimi di essere crociati. Una narrazione biblica in piena regola.

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Toponomastica e identità: una narrazione biblica

La toponomastica di Lisbona racconta la propria storia travagliata; racconta la vocazione cristiana, come nei quartieri Anjos, “angeli” e Santos, “santi”, posti ai due estremi del centro storico, come a impedire l’entrata del maligno. Racconta la propria politica di città latina e immutabile, meridionale e burocratizzata, come nelle minacciose fermate della metro Restauradores e Intendente; racconta la propria nascita magica e leggendaria affidando la piazza centrale, il proprio salotto buono, a un toponimo oscuro come Rossio, su cui perfino Josè Pedro Machado, autore del Dicionário Etimológico da Língua Portuguesa, si è arrovellato senza trovarne un’origine certa. Rossio: da “reciso” – come il luogo in cui qualcosa si è spezzato nel travaglio della storia? O da “residuo” – vestigia, baluardo di un passato ormai irraggiungibile?

Le forze centripete della città si scontrano tra i suoi balconi, se accanto ai toponimi della religione troviamo nel Bairro Alto nomi chiaramente massonici – Rua da rosa, Rua da Agua às Flores; ma l’identitá eretica di Lisbona, vera preoccupazione della chiesa, si nasconde anche in nomi apparentemente innocui come quello della Cruz da Ordem de Christo. Una sorta di rebranding dell’Ordine dei Templari firmato da Don Dinis, uno che con i nomi e le parole ci sapeva fare. Fu il primo re portoghese a saper leggere e scrivere e, attraverso una diplomazia fatta di sfumature onomastiche, riuscì a non cacciare i Templari come esigevano i ferventi monarchi del Centro Europa. Si sa che qui siamo ai margens d’Europa, e che il cattolicesimo, influenzato da credenze e saperi provenienti da terre lontane, non era poi così rigido come i religiosi volevano fare credere.

Fado: il destino scritto nelle strade di Lisbona

Ma la forza della città, che è poi quella che la rende metropoli, è quella centrifuga, ed è tutta racchiusa in una parola: il fado. Chiaro è che fado porta all’idea di “fato”, “destino”. Ma non è altrettanto noto che, passando di etimologia in etimologia come in una sorta di mise en abîme, il termine “fato” si origini da una forma caduta in antico latino: viene da -fari, “dire”, “predire”, e quindi “ciò che è già stato annunciato”.

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Sarà forse un caso che due fermate dopo Belèm,  esattamente dove il Tejo si immette nell’Oceano, la stazione ferroviaria si chiami Cruz Quebrada, “croce rotta”? Come un presagio funesto sul collasso di quell’ultimo impero coloniale, troppo grande, troppo crudele e così poco cristiano? 

Sarà sí un caso, ma a noi piace immaginare che già nella croce rotta, e in tutti i nomi di Lisbona, era scritto il destino di quegli uomini che partivano all’avventura. Alcuni sarebbero tornati al Doca de Bom Successo di Belém, i più fortunati. 

A tutti gli altri che non sarebbero tornati, e al loro ricordo, si rivolge ancora oggi il canto delle donne lasciate sole. Il fado in cui compaiono i nomi di Lisbona, e la descrivono come bambina e ragazza in amore: menina ou moça, ma sempre, e rigorosamente, femminile. 

Author

  • Federico Perrone, nato a Pavia, Italia, e residente in Portogallo da 5 anni. Diplomato in “Scrittura Drammatica” e laureato in “Studi Teatrali”. Ha partecipato alla École des Maîtres 2012 e ha lavorato come assistente di regia in prestigiose istituzioni teatrali italiane. Dal 2024, si concentra sul Teatro Comunitario e sulle arti performative multiculturali di origine africana. Attualmente è candidato per il Dottorato in “Portoghese come Lingua Seconda” presso la FLUL.

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