Mentre l’Italia vuole accorciare i tempi per la cittadinanza, il Portogallo pensa ad allungarli

In un momento storico in cui diversi Paesi europei discutono riforme sulla cittadinanza, Italia e Portogallo sembrano muoversi in direzioni opposte. Da una parte, il governo italiano sta valutando di ridurre gli anni richiesti per ottenere la cittadinanza tramite residenza; dall’altra, il governo portoghese ha annunciato l’intenzione di aumentare il tempo minimo necessario per diventare cittadini portoghesi.
La questione della residenza in un paese e della cittadinanza
L’attuale normativa portoghese
Oggi in Portogallo sono richiesti cinque anni di residenza legale per poter presentare domanda di cittadinanza. Questa tempistica è considerata una delle più vantaggiose in Europa, soprattutto per coloro che vedono nel passaporto portoghese un accesso facilitato all’Unione Europea. In particolare, moltissimi brasiliani si sono trasferiti negli ultimi anni, attratti da questo percorso relativamente breve.
Tuttavia, il governo guidato da António Costa ha iniziato a vedere questa situazione come problematica. Il ministro António Leitão Amaro ha dichiarato in una recente conferenza stampa che il tempo attuale “deve essere ripensato”, sottolineando l’esigenza di rafforzare l’effettiva connessione dei nuovi cittadini con il territorio nazionale.
Il rischio di un “effetto calamita”
Secondo il ministro, la normativa vigente ha creato un vero e proprio “effetto chiamata“, ovvero l’arrivo massiccio di persone il cui interesse principale non è tanto integrarsi nella società portoghese, quanto ottenere in modo relativamente semplice un documento europeo. Questo fenomeno, sebbene comprensibile dal punto di vista personale e familiare di chi migra, rischia secondo il governo di snaturare le finalità della concessione della cittadinanza.
Leitão Amaro ha sottolineato come sia fondamentale garantire che la cittadinanza non sia vista solo come un mezzo burocratico, ma come il coronamento di un reale percorso di integrazione.
Italia e Portogallo: due approcci opposti
Il confronto con l’Italia è inevitabile. Roma sembra orientata a semplificare le procedure e ridurre il numero di anni necessari per chi risiede stabilmente sul territorio, probabilmente anche per far fronte alla crisi demografica e per promuovere una più rapida integrazione degli stranieri.
Il Portogallo, invece, nonostante abbia anche lui una popolazione in progressivo invecchiamento, punta a un approccio più restrittivo. Questo riflette una crescente preoccupazione per il mantenimento dell’identità nazionale e la volontà di evitare che il Paese venga percepito come un semplice “punto di passaggio” verso l’Europa.
Le modifiche recenti mai applicate
A complicare ulteriormente il quadro c’è il fatto che, circa un anno fa, il Parlamento portoghese aveva già approvato una legge che, teoricamente, accorciava i tempi per la richiesta di cittadinanza. Questa nuova normativa prevedeva che i cinque anni venissero contati dal momento della presentazione della domanda di residenza, e non dalla sua approvazione, permettendo così in pratica a molte persone di accelerare l’iter.
Tuttavia, quella legge non è mai stata pienamente regolamentata, lasciando spazio a incertezze e interpretazioni divergenti.
Cosa aspettarsi ora
Non è ancora chiaro a quanti anni il governo portoghese intenda estendere il periodo di residenza richiesto. Non è escluso che si passi a sette o dieci anni, seguendo l’esempio di altri Paesi europei più restrittivi.
Quel che è certo è che, se queste modifiche entreranno in vigore, avranno un impatto diretto soprattutto sulla comunità brasiliana, che rappresenta uno dei gruppi più numerosi tra i nuovi residenti in Portogallo.
Il governo ha dichiarato che prima di procedere vorrà “avere una discussione ampia con la società portoghese”, ma il messaggio è chiaro: il Portogallo vuole garantire che chi diventa cittadino lo faccia per un reale desiderio di far parte della comunità nazionale, e non solo per ottenere un passaporto.