Martim Moniz, Lisbona: storia, multiculturalismo e il futuro di una piazza simbolo

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Correva il settembre 2018 quando, dopo una sfiancante corrida per trovare una camera decente, ammisi a me stesso che la decenza era ormai sconfitta dalla gentrificazione. Decisi quindi di affittare una delle minuscole stanze che popolano l’universo di Idealista, orrore e speranza di chi arriva qui a Lisbona. Il buco era al quinto piano senza ascensore dell’ultimo palazzo delle Escadinhas da Saude, dove non c’erano ancora le scale mobili: dimenticare il portafoglio a casa era un attacco alla propria integrità personale.

Tuttavia, da quella altitudine avevo una vista sublime. Il vento soffiava sul sole di mezzogiorno e profumava al tramonto. La piazza Martim Moniz si interrogava sulla sua identità, con un festival di musiche del mondo che per una settimana suonò perfino il lunedì.

Martim Moniz, tra storia e attualità

Sette anni dopo, l’identità multiculturale di Martim Moniz deve fare i conti con episodi come lo stupro di una ragazza italiana, avvenuto proprio sulle escadinhas il mese scorso; con gli oscuri venti di fascismo che soffiano sull’Occidente, alimentandosi di intolleranza e xenofobia; con le dichiarazioni, infine, del partito di destra estrema “Chega”, utili a promuovere la sua agenda politica contro l’immigrazione.

Quello che non si dice è che “l’immigrazione” non è né “peggiorata” né tantomeno è colpa del PS, al potere fino all’anno scorso. Multiculturalismo e gestione concreta della diversità hanno fatto la fortuna del Portogallo, sotto re ben più lungimiranti del segretario di Chega.

Chi era Martim Moniz? La leggenda del sacrificio per Lisbona

Narra la leggenda che, durante l’assedio cristiano di Lisbona del 1147, l’eroe Martim Moniz, al soldo di Afonso Henrique, individuò una porticina del Castello di Sao Jorge che gli occupanti musulmani aprivano per scendere la collina e cercare acqua. Nascondendosi nella boscaglia, il temerario Martim si avvicinò per entrare di slancio nella fortezza nemica, ma le guardie a difesa del Castello chiusero la porta, intrappolando il soldato tra i suoi battenti.

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L’Assedio di Lisbona del 1147: tra storia e mito

In un minuto splatter che avrebbe fatto la storia leggendaria del Portogallo – e che per il malcapitato deve essere stato lungo quanto un secolo – Martim Moniz si immolò per la causa cristiana. Martoriando il suo corpo, lasciò aperto uno spiraglio che aiutò Afonso a penetrare con il suo esercito tra le mura e a “liberare finalmente Lisbona dal giogo musulmano” … ma al di là del Medioevo letterario, tutto fatto di guerrieri e ideali, la realtà del tempo era molto meno eroica – e categorica – di quanto i poeti dell’epoca ci vogliano far credere.

Più che il valore in battaglia importavano le bolle papali. Fu una di queste che determinò la vittoria di Afonso Henrique, di cui il leggendario Martim Moniz si fece simbolo. Nel 1145, Eugenio III proclamava la seconda crociata. La nuova dottrina di Roma, dopo il fallimento della prima, accettava come guerra santa qualsiasi battaglia cristiana contro gli Almoravidi della penisola iberica, dove Al Qarb e Al Andalus risplendevano.

Nel 1147 la seconda crociata offerse ad Afonso Henrique gli strumenti per l’affermazione del suo regno, ma lo precipitò poi subito in una vera e propria guerra civile. Intercettando una nave di “crociati” norvegesi e scozzesi, (spesso straccioni disperati, fuggiti dal paese d’origine e più simili ai pirati che ai templari) Afonso promette che se lo avessero aiutato a prendere Lisbona, avrebbero potuto prendere il tesoro degli Almoravidi. In realtà, una volta espugnato il castello, i “crociati” fecero razzia di tutto e tutti, e quando violentavano le popolane non si chiedevano di quale religione fossero.

Inoltre gli assedi si facevano prendendo i nemici per la fame, e poche volte sfociavano in sanguinosi scontri tra eserciti. Si firmava la sconfitta perché, dopotutto, era responsabilità del re assediato perdere meno uomini possibile, pena essere destituito o, peggio, ucciso. L’assedio di Lisbona iniziò il 1° luglio del 1147, per finire in autunno quando, stremati, gli Almoravidi firmarono la vittoria di Dom Henrique. Il 2 ottobre, semplicemente, lo scettro del potere passò dall’uno all’altro dei popoli che già convivevano nell’islamica Al-Ushbuna

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Che lo si voglia o no, gli islamici accettavano i cristiani.

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La politica di questi antichi regni era infatti soggetta a una minuziosa diplomazia, che valutava puntigliosamente chi e come accettare sotto il proprio potere, al di là delle differenze religiose e culturali. Un esempio sono i cristiani che abitarono Lisbona e altre terre durante il dominio islamico, tra i secoli VIII e XII. Presero il nome di moçarabes perché, anche se di ascendenza gota, usavano l’alfabeto arabo. Avevano però proprie leggi, discendenti dal diritto romano, ma soprattutto il loro iudex era responsabile del pagamento delle imposte ai musulmani. Certo, non potevano più andare a messa nella Sé, che era stata trasformata in una moschea, ma non avevano bisogno di nascondere i propri luoghi di culto.

Allo stesso modo, con la conquista di Afonso Henrique la moschea ridiventa Cattedrale, e si costruisce a Lisbona la famosa Mouraria: il luogo dove vivevano gli arabi al di fuori delle mura che, per vantaggi commerciali e culturali a duplice senso, accettavano di vivere ed erano accettati dai portoghesi cristiani.

Nella Pasqua del 1506, Dom Manuel I, primo re della storia con un impero esteso ai 4 continenti (o forse 5, se davvero Magellano toccò l’Australia prima di morire nelle Filippine), condanna a morte i portoghesi responsabili del massacro di ebrei della Igreja di Sao Domingo. E’ fin troppo facile indovinare le preoccupazioni del primo re globale della storia e immaginarlo a porsi la domanda. “Se non tollero gli ebrei, come faccio a governare mezzo mondo?”. Non è un caso che l’Inquisizione in Portogallo sia stata all’acqua di rose, se paragonata alla vicina Spagna.

Martim Moniz e la politica: un simbolo contemporaneo tra integrazione e controversie

Ho letto una volta un articolo dove l’autore, probabilmente vicino a Chega, ironizzava sul destino del povero Martim Moniz che, 878 anni dopo il suo eroico martirio, si metterebbe le mani nei capelli a vedere “quanto islamizzata è la piazza a lui dedicata.”

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Bisogna proprio spiegarglielo, a Chega, che quella di Martim è solo una leggenda.

Il futuro di Martim Moniz e il suo significato per Lisbona

Sette anni dopo vivo in un altro buco della piazza Martim Moniz, più vicino a Rossio. Se in Mouraria vivono gli arabi, adesso scendo le scalinate e bevo vino bianco al bar dei vietnamiti.

Come la Martim Moniz di oggi, nella storia mai è esistita una Lisbona musulmana o una Lisbona cristiana o una Lisbona ebrea. E’ sempre esistita una grande metropoli commerciale.

Author

  • Federico Perrone, nato a Pavia, Italia, e residente in Portogallo da 5 anni. Diplomato in “Scrittura Drammatica” e laureato in “Studi Teatrali”. Ha partecipato alla École des Maîtres 2012 e ha lavorato come assistente di regia in prestigiose istituzioni teatrali italiane. Dal 2024, si concentra sul Teatro Comunitario e sulle arti performative multiculturali di origine africana. Attualmente è candidato per il Dottorato in “Portoghese come Lingua Seconda” presso la FLUL.

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